Qual è la prima cosa che fai appena sveglio e l’ultima prima di addormentarti? Dietro questa domanda, solo in apparenza banale, si nasconde il destino della customer experience nel settore retail.

Trovare risposte di senso a questo interrogativo è quanto abbiamo cercato di fare nel corso dell’intervento di Neosperience alla SMXL 2016, un tour de force di conferenze sul digital e mobile marketing.

I Micro Momenti canonizzati da Google hanno rappresentato il punto di partenza della discussione, inserita nel panel intitolato non a caso “Riding The Micro Moments Wave”.

La consapevolezza che il ritmo della nostra esistenza è scandito dalla rivoluzione mobile è certificata da tre numeri:

15 – I minuti che passano da quando ci svegliamo a quando accendiamo lo smartphone.

150 – Il numero di volte in cui controlliamo, in media, lo smartphone nel corso della giornata.

177 – I minuti che passiamo, in media, ogni giorno osservando lo schermo di un device mobile.

Mettendo insieme queste informazioni, ci rendiamo conto che i clienti oggi non vanno online ma vivono online. Meglio ancora, vivono una sequenza interminabile di istanti, in bilico non lineare tra mondo online e offline.

Cambiano le abitudini di consumo – di contenuti prima ancora che di prodotti – in un contesto competitivo in cui i clienti vivono un sovraccarico di informazioni. Se lo smartphone diventa il primo schermo, il riferimento per le attività quotidiane, di conseguenza cambia:

  • Come cerchiamo informazioni: Su Google ogni giorno vengono effettuate 3.5 miliardi di ricerche. Il 60% di queste ricerche arriva oggi da dispositivo mobile.
  • Come comunichiamo con i brand: Nei mercati più sviluppati, si spende più tempo utilizzando app che guardando la televisione.
  • Come scegliamo e acquistiamo prodotti: Quasi il 60% dei clienti inizia lo shopping su un device e continua o finisce su un altro device o in-store.

Ci troviamo di fronte alla rivoluzione del customer journey. I brand devono imparare a cogliere l’attimo e coinvolgere i clienti nel momento della verità, perché la soglia di attenzione si abbassa (8 secondi) e il tempo diventa la risorsa più scarsa.

La velocità della rivoluzione mobile può essere frastornante per quelle aziende abituate a seguire i rigidi schemi del marketing tradizionale. Dove c’è un pericolo, però, si cela sempre anche un’opportunità: entro il 2020, nel mondo ci saranno oltre sei miliardi di utenti mobile.

Le 4 P del marketing (Product, Price, Place, Promotion) non diventano inutili, ma vanno riscritte per acquisire nuova rilevanza nei mercati globali digitali. Il modello sociale ed economico promosso dalla diffusione della tecnologia mobile, infatti, presenta caratteristiche uniche:

INCLUSIVO

Consente potenzialmente a tutti l’accesso alle risorse cognitive, culturali e finanziarie, prima prerogativa di pochi, come dimostrano servizi come Coursera, Kickstarter e Duolingo.

COLLABORATIVO

Favorisce un approccio che privilegia il lavoro di gruppo tra persone che sono lontane e che si connettono attraverso lo schermo dello smartphone (Qurami, Waze, Quora).

INTELLIGENTE

Permette una gestione più intelligente delle risorse, e consente di reinventare di continuo la propria esistenza e il lavoro (Uber, Airbnb, Mint).

Le aziende del settore retail hanno a disposizione oggi un numero di tecnologie impensabile fino a soli dieci anni fa: digital signage, mobile app, Internet delle Cose, realtà virtuale e aumentata, beacon, machine learning, intelligenza artificiale, chatbot, smart analytics.

Il problema, allora, diventa come dare un senso alla tecnologia, partendo dalla centralità della customer experience e senza tradire l’identità del brand (fondata sugli archetipi e uno storytelling granulare e stratificato).

Il modello vincente delle aziende di successo si fonda sulla consapevolezza che i clienti digitali non vogliono solo acquistare un prodotto ma vogliono vivere un’esperienza. Brand come Netflix, Spotify, Amazon, Starbucks, Nike ci ricordano che il punto di partenza per ottenere personalizzazione e rilevanza è riconoscere l’unicità del cliente e del suo viaggio.

Inutile dire che oggi non è pensabile una strategia retail che non sia omnicanale e mobile-first. Questo, però, non significa affatto che i device mobile porteranno alla morte dello store fisico. Se è vero che negli ultimi 5 anni il traffico in-store si è ridotto del 57 per cento, è altrettanto vero che il valore di ogni singola visita è quasi triplicato.

Se inserito in una strategia complessiva, e se sfruttato come proxy del cliente, il mobile aiuta i retailer a rispondere all’esigenza del “What I want, When I want, Where I want it”. Analizzato in questa ottica, lo smartphone si trasforma:

In un nuovo punto d’accesso allo punto vendita fisico:

Le ricerche ‘Vicino a me’ sono raddoppiate in meno di un anno. Il 76% degli utenti che effettuano ricerche locali dallo smartphone visita lo store fisico entro 24 ore. Il 28% di queste visite si trasforma in una vendita.

In un nuovo advisor in-store privilegiato:

Il 91% dei clienti consulta lo smartphone in store alla ricerca di idee su come risolvere un dato problema. L’82% dei clienti utilizza lo smartphone per cercare informazioni sull’acquisto che sta per effettuare.

Per concludere, dobbiamo rispondere a un’altra domanda critica: Cosa significa costruire una retail customer experience nell’era mobile?

Ci viene in aiuto Google, attraverso le sue ricerche sui Micro Momenti. Per offrire esperienze memorabili ai propri clienti, un brand retail deve prestare sviluppare e coltivare tre qualità:

BE THERE – Essere presente quando e dove il cliente mostra un bisogno.

BE USEFUL – Bisogna esserci, ma soprattutto esserci con contenuti rilevanti.

BE QUICK – La velocità è essenziale, in tutte le fasi del customer journey.

Insomma, per il mondo retail vale oggi una regola fondamentale:

It is less important for a shopper to be present in-store than for the store to be present wherever and whenever a shopper needs them.” (Google)

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2018-11-28T12:35:58+00:00novembre 17th, 2016|
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